L’empatia nel metaverso. L’ultima proposta di Zuckerberg, descritta nel video, è uno smartworking super potenziato in cui le persone interagiscono attraverso avatar e in contesti del tutto digitali, quindi ovviamente personalizzabili.
Il sogno di lavorare da una spiaggia caraibica si fa realtà… virtuale.
Questa tecnologia di fatto prende ciò che esisteva sulla personalizzazione degli spazi virtuali, ad es. per le riunioni zoom ed i world café digitali, e lo fa diventare un’esperienza immersiva totale.
Di fatto riunisce tecnologie esistenti in un’unica esperienza.
Proprio ieri ho partecipato ad un incontro di Federmanager in cui venivano presentate case history interessanti sull’utilizzo della realtà aumentata anche nella formazione tecnica, così come già fanno le realtà più innovative in materia di competenze trasversali e manageriali.
Cosa c’è di diverso ora?
La componente più innovativa, e a mio avviso anche la più impattante per gli esseri umani, è l’immersione. Essere in ambienti artificiali circondati da persone artificiali.
Personalmente questa prospettiva mi dà un grande senso di libertà e al contempo accende in me domande, per prima cosa sulle relazioni.
Come potremo empatizzare con un avatar, che per quanto dettagliato e sofisticato sia difficilmente riprodurrá le microespressioni del viso, e sicuramente non la temperatura del corpo, i micro tic… come faremo ad empatizzare con un qualcosa che non prova emozioni?
Un avatar per me è un oggetto pieno di fascino, che rappresenta un essere umano. Ma è importante ricordare che non è, un essere umano.
Gli mancano due tre elementi chimici, e sarà curioso capire come far scattare la chimica con un ologramma.
Al di là delle provocazioni, credo che sia un tema da trattare urgentemente per chi vuole rendere le persone più efficaci e le relazioni più generative in un mondo digitale.
La mia proposta è: mettiamo da parte le diffidenze automatiche verso ciò che non conosciamo, e scopriamo come rendere possibile un mondo in cui i segnali deboli si creano e possono essere letti, e le relazioni si rinforzano passando per strade nuove.
Non sarà semplice, e credo che serviranno sempre, assolutamente, spazi e tempi in cui le persone siano fisicamente una vicina all’altra. Ma si può fare, e il nostro equilibrio dei tempi di vita e lavoro potrà beneficiarne enormemente.
Quindi, vale la pena buttarsi.
Che ne pensi, come ti fa sentire l’idea di un collega avatar di fianco a te? Scrivimi con le tue esperienze,
a presto,
Marcella
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